Il sistema solare

La Terra, sulla quale risiede l’unica forma ad oggi conosciuta di esseri viventi, è il terzo di una serie di corpi celesti che, orbitando intorno alla stella Sole, formano il Sistema Solare. Queste entità astronomiche sono definite Pianeti, secondo dei criteri particolari.

Nella seguente documentazione vengono affrontate le principali tematiche riguardanti il complesso astronomico del Sistema Solare stesso, dalla classificazione dei pianeti e i loro criteri denominativi, come anticipato, alle teoriche fasi di formazione del piccolo pezzo di Universo in cui questi corpi risiedono.

Scorrendo le tappe fondamentali della Storia dell’Astronomia, appare evidente come il quadro complessivo del Sistema Solare si sia gradualmente modificato e ampliato. Alla fine del XVII secolo tale quadro era già sufficientemente complesso, tanto che si riconosceva, oltre alla evidente presenza del Sole e della Terra con la Luna, anche quella di Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno; erano inoltre noti 4 satelliti di Giove (i cosiddetti Galileiani) e 5 di Saturno, e cominciava a prender corpo l’idea che le comete fossero a pieno titolo corpi appartenenti al Sistema Solare (Halley – 1687).
Nel XVIII secolo si aggiunge al gruppo Urano con 2 suoi satelliti, mentre salgono a 7 quelli di Saturno.
Un ulteriore passo in avanti viene compiuto nel secolo scorso: Nettuno, i due satelliti di Marte, 2 ulteriori satelliti di Saturno, altri 2 di Urano ed uno di Giove.   E’ inevitabile, parlando di Nettuno, sottolineare come la scoperta di questo pianeta rappresenti uno dei momenti storici della Meccanica Celeste; grazie agli studi accurati delle perturbazioni dell’orbita di Urano compiuti dagli studiosi Adams, Le Verrier, J.G. Galle di Berlino, il 23 settembre 1846 (tre mesi dopo la pubblicazione dei calcoli di Le Verrier) si identificò in cielo il nuovo pianeta: carta e penna avevano preceduto il telescopio e gli avevano indicato la strada. Per completare il quadro dei pianeti bisognerà attendere il 18 febbraio 1930 con la scoperta di Plutone, avvenuta in modo apparentemente simile a quella di Nettuno.

IAU image

Contemporaneamente alla scoperta e, soprattutto, alla ricerca di questi corpi celesti, altri oggetti astronomici venivano e vengono tuttora evidenziati, oggetti presenti nella zona occupata dal Sistema Solare e che in alcuni casi occupano anche luoghi esterni, come nel caso delle Comete.

Nella figura sopra sono rappresentati degli altri oggetti di scoperta relativamente recente: sono Asteroidi, locati nella Fascia degli Asteroidi, oggetti celesti di entità estremamente varia, in quanto si calcolano misure da pochi metri o chilometri, sino a centinaia di chilometri quadrati, come Cerere, scoperto nel 1801, e grande quanto lo stato della Francia.

La scoperta di questi corpi, e più recentemente di oggetti esterni al Sistema Solare, nella fascia denominata di Kuiper, ma con caratteristiche simili ai più vicini pianeti, ha posto dei problemi di classificazione dei corpi stessi in pianeti: seguendo i suggerimenti di A. Stern (1992) è ragionevole supporre che un corpo celeste per essere considerato un pianeta debba soddisfare questi tre criteri:
1. Non deve essere di massa talmente elevata da riuscire ad innescare reazioni nucleari al suo interno, trasformandosi in tal modo in una stella.
2. Deve possedere una massa sufficientemente elevata da fargli assumere una forma sferica grazie all’azione della sua stessa gravità; la transizione tra una forma irregolare ed una forma sferica assicurata dalla gravità si verifica per oggetti di 200-400 km di diametro.
3. Deve percorrere un’orbita che si snoda direttamente intorno al Sole e non attorno ad un altro corpo celeste.

(il seguente video mostra gli studi eseguiti sugli staeroidi e le relazioni degli eventuali impatti terrestri)

Dopo la scoperta di questi corpi, non intenzionalmente definiti Pianeti, è subentrato il problema della classificazione stessa: Sedna è il corpo che ha dato input, all’ultimo congresso astronomico, tenutosi a Praga, l’Agosto del 2006, del problema di includere questi corpi fra i Pianeti del Sistema Solare, in quanto hanno tutti, più o meno, le dimensioni del pianeta Plutone, ma essendo estremamente lontani dal Sole, non subiscono particolarmente la gravità della Stella e  si è deciso, così, di declassare Plutone, insieme ad essi, in quanto comunque non rispettava pienamente tutti i criteri, ancor prima di queste scoperte.

Per quanto riguarda la formazione del Sistema Solare, l’avvio fu innescato dalla nascita del Sole.

La teoria ormai accettata circa l’origine e l’evoluzione del Sistema Solare è sostanzialmente (come idea di partenza) quella di Kant (1755) e Laplace (1796): una nube di gas e polveri che, sotto l’azione della gravità, tende a condensarsi.  E’ importante sottolineare (Coradini et al.,1980) il duplice aspetto della teoria che deve spiegare la nascita del Sistema Solare: da una parte vi è un problema astrofisico (correlato alla formazione della stella Sole) e dall’altra parte un problema planetologico (da risolvere alla luce dello studio dei meteoriti, delle superfici e degli interni dei pianeti).
E’ significativo anche porre in evidenza due difficoltà di fondo, vale a dire il fatto di avere a disposizione solamente il nostro Sistema Solare quale fonte di informazioni ed il fatto che ci è quasi del tutto sconosciuto il suo stato iniziale.  Lo studio dell’evoluzione stellare ha la possibilità di guardare sia nel passato sia nel futuro: si possono, osservare stelle in diverse fasi della loro evoluzione ed in tal modo verificare le ipotesi formulate.  Nel caso dell’analisi dell’evoluzione planetaria, invece, si ha a disposizione soltanto il nostro sistema planetario, ed in esso, inoltre, è possibile individuare pochi relitti delle epoche passate.
Ma vi sono anche due importanti evidenze relative all’origine comune del Sole e dei pianeti:
1. il Sistema Solare è isolato, dato che la distanza della stella più vicina è maggiore rispetto alle dimensioni della zona planetaria del Sistema Solare stesso.
2. la maggior parte dei corpi più grandi che compongono il Sistema Solare ha orbite che giacciono su un piano comune e le percorre nello stesso senso.

Un dato ormai condiviso da tutti è che il processo di formazione stellare avvenga all’interno delle nubi molecolari giganti (prevalentemente composte da H2 per decine di migliaia o anche milioni di masse solari a temperature di pochi gradi Kelvin): le parti più dense di queste strutture si suddividono in nubi più ridotte, di massa compresa tra 0.01 e 100 masse solari, che cominciano a contrarsi per autogravitazione (Lamzin, 1995).  In ogni caso, con il sopravvento della gravità la materia “cade” verso il centro della nube in un tempo dell’ordine di 105 anni.

Si origina così una protostella: un corpo dotato di luminosità decine di volte superiore a quella solare. Il primo riscontro osservativo della teoria del disco di polvere attorno ad una protostella quale primo passo di una possibile formazione planetaria è la scoperta (nel 1984) del disco di polvere attorno a β-Pictoris, stella di sequenza principale distante da noi circa 50 anni luce.

Il disco si estende per oltre 200 U.A. dalla stella centrale e le sue parti più interne contengono poca polvere, che, probabilmente, si è già aggregata sotto forma di pianeti.
La più recente osservazione della presenza di un disco di polvere attorno ad una stella si è avuta per HL Tauri (Close et al., 1997) ed il diametro della struttura è stato stimato in circa 150 U.A.


La stella centrale dovrebbe avere un’età di circa 300 mila anni ed una massa di 0,7 MSOL: i ricercatori responsabili della scoperta suggeriscono che il disco di HL Tauri sia un ottimo esempio di ciò che fu il nostro Sistema Solare in formazione.

Analizziamo adesso le fasi di formazione del Sistema Solare. Evidenziando quali siano le fondamentali caratteristiche dell’evoluzione dei Corpi Celesti analizzati.


FASE “ZERO”
Inizio dell’addensamento gravitazionale: si parte da una nube interstellare (composta per il 70% di H, il 27% di He e per il restante 3% di elementi più pesanti) la cui situazione di equilibrio viene perturbata da un fattore esterno.

Non è certamente azzardato lo studio di Taylor (1992), quando afferma che la nebulosa primordiale non doveva essere di grande massa e neppure dotata di moto rotazionale elevato; queste due caratteristiche, infatti, resero possibile il fenomeno di addensamento centrale, impedendo, cioè, quel frazionamento della nebulosa che sarebbe sfociato nella nascita di un sistema stellare binario.
A proposito della causa perturbatrice responsabile dell’innesco del meccanismo di autogravitazione, già si è avuto modo di dire che, si può ipotizzare una vicina esplosione di supernova:
con tale ipotesi si potrebbe giustificare la presenza di alcuni isotopi la cui sintesi difficilmente si potrebbe spiegare in altro modo.
Ad ogni buon conto ha inizio il collasso gravitazionale, assicurato dalla presenza di materia in quantità sufficiente.

FASE 1
Collasso della materia della primordiale nebulosa solare (gas e polvere) in un disco rotante (dissipazione di momento angolare) e conseguente condensazione di piccole particelle (formazione dei granuli).   Ripetuti episodi di condensazione ed evaporazione possono spiegare le inclusioni refrattarie di CAI (calcio-alluminio intrusion) rilevate in alcune meteoriti.   Sono queste inclusioni gli oggetti più antichi dei quali è stato possibile stabilire una datazione (meteorite Allende), stimata in circa 4560 milioni di anni; ed è a tale epoca cui, solitamente, ci si riferisce quale istante To per la  formazione del Sistema Solare.

Considerando la composizione attuale del Sistema Solare interno, sembra che gli elementi condensatisi per primi siano Ferro, Nickel e silicati di Ferro e Magnesio; nelle regioni più esterne della nebulosa, a temperature inferiori, il nocciolo della condensazione era costituito da ghiaccio d’acqua e ghiacci di acqua/ammoniaca.
Il ritmo di crescita è quantificato (Goldreich e Ward, 1973) nell’ordine di centimetri per anno per i minerali più abbondanti; considerando la condensazione del Ferro nella regione terrestre viene suggerita la condensazione di granuli con raggio di alcuni centimetri in tempi di una decina d’anni.

FASE 2
Contemporaneamente alla fase di condensazione in granuli inizia la caduta delle particelle verso il piano mediano della nebulosa con la conseguente formazione di un sottile e denso disco di polveri.   E’ in questo disco di materia formatosi nel piano centrale durante la fase di condensazione che si sviluppano le instabilità gravitazionali responsabili dei fenomeni successivi; i valori dei parametri fisici caratteristici sono, indicativamente, di 700 °K per la temperatura e 7.5×10-10 g/cm3 per la densità del gas (Goldreich e Ward, 1973).
Si verificano episodi di fusioni che coinvolgono metalli e silicati e che possono spiegare la formazione di condruli; (aggiungere link per Wikipedia sui sistemi condritici) con questo termine si indicano le inclusioni sferoidali, tipicamente di circa 0.5-1.5 mm, presenti nei meteoriti condritici e composti in genere di olivina (silicato di Fe e Mg).   Il modello ritenuto più plausibile per la formazione di tali strutture (Levy e Araki, 1989) prevede la presenza di flares nebulari, analoghi alle protuberanze normalmente osservate sul Sole.   Questi eventi altamente energetici avrebbero caratterizzato le zone situate al di fuori del piano mediano della nebulosa con rilascio praticamente istantaneo di enormi quantitativi di energia (circa 1032 erg) immagazzinata nelle linee di campo magnetico sottoposte a distorsione.   La rapidità del fenomeno (i tempi ipotizzati sono dell’ordine di 0.1 sec) e le alte temperature associate sarebbero in grado di spiegare efficacemente sia la formazione dei condruli sia le loro ridotte dimensioni.
Il fatto che i condruli siano così comuni è una prova che in quel periodo la nebulosa solare era caratterizzata da rimescolamenti violenti, riconducibili alla necessità di dissipare considerevoli quantità di energia.

FASE 3
Aggregazione delle polveri in planetesimali per mezzo di collisioni a bassa velocità.
Inizia in questa fase il bruciamento dell’H ed il proto-Sole inizia la fase T-Tauri e FU-Orionis che ha una durata di circa 106 anni. Ad una distanza di circa 4 U.A. si può situare la snow-line,(link Wikipedia per snow-line) la linea immaginaria in corrispondenza della quale avviene la condensazione del ghiaccio d’acqua, fenomeno in grado di accrescere la densità locale della nebulosa planetaria incrementando notevolmente il ritmo di accrezione (?).   Non è ancora certo se il meccanismo della snow-line sia stato attivo solamente per la formazione planetaria nella regione di Giove oppure se vi siano stati altri siti in cui meccanismi analoghi abbiano fatto da catalizzatore della fase di accrezione.   Certo è, invece, che tale meccanismo operante nella regione posta a circa 4 U.A. dal Sole e che porterà alla formazione di Giove ha influenzato pesantemente l’evoluzione successiva di tutto il Sistema Solare. Un secondo dato certo è che questi primi stadi della formazione dei pianeti si sono svolti sullo sfondo di una luminosità molto più elevata di quella attuale, quantificata da Hoyle (1979) in circa 150 LSOL.
Tutto il gas presente (H, He ed altri) viene rimosso dalla regione interna (vento T-Tauri) lasciando solamente i planetesimali di una certa massa già formati.   La massa originaria della nebulosa è stimabile (Hoyle, 1979) in almeno 1750 masse terrestri, delle quali circa 1300 costituite da H ed He sono in qualche modo andate perdute.

FASE 4
Nella zona dove il ghiaccio d’acqua diventa stabile, a circa 5 U.A. dal Sole, si colloca l’accrezione(?) di Giove che raccoglie anche parte dei gas espulsi dalla zona interna.  L’accrezione del nucleo del proto-Giove deve essere avvenuta in un tempo di 105-106 anni ed altrettanto tempo è servito per la sua formazione definitiva: l’intero processo, comunque, si deve essere svolto prima che il gas venisse completamente dissipato.  Dunque Giove è un vero e proprio pianeta e non una stella mancata: la sua origine è da ricercarsi in meccanismi di accrezione e non direttamente dal frazionamento della nebulosa originaria.  E’ importante ancora una volta evidenziare che la formazione rapida di Giove è certamente stato l’evento più importante per il Sistema Solare in formazione, un evento in grado di condizionare pesantemente le successive fasi evolutive.

E’ riconducibile a questa fase anche la formazione dei nuclei di Saturno, Urano e Nettuno, la cui formazione, però, avviene molto più lentamente.
Saturno impiega un tempo due volte più lungo di Giove: a differenza di Giove, inoltre, ha un asse di rotazione inclinato rispetto al piano dell’orbita, chiara indicazione che si deve essere condensato da più di un corpo di grandezza considerevole.

Urano completa l’accrezione in circa 107 anni e

Nettuno nel doppio di questo tempo; la formazione di questi due pianeti deve certamente essere avvenuta quando ormai buona parte di H ed He erano sfuggiti dal Sistema Solare.

La formazione di Urano e Nettuno assomiglia a quella dei pianeti di tipo terrestre, dunque è profondamente differente da quella di Giove e Saturno, formatisi in presenza di un grande quantitativo di H ed He.
Fernandez e Ip (1983) collocano in questa fase l’origine di planetesimali che, immessi in orbite molto eccentriche dall’azione dei nuclei iniziali di Nettuno e Urano, avrebbero poi costituito sia la Nube di Oort sia una fascia cometaria trans-nettuniana (seguendo in ciò le teorie avanzate negli anni ‘50 da Edgeworth e Kuiper).

L’analisi numerica dei processi di accrezione dei planetesimali associati alla formazione di Urano e Nettuno porta Fernandez e Ip a concludere che:
1. Il principale responsabile dell’immissione di oggetti nel serbatoio cometario è con molta probabilità Nettuno, in quanto l’influenza di Urano è largamente inibita dall’azione gravitazionale di Giove e Saturno. Questi ultimi, inoltre, sono caratterizzati da scarsa efficienza nel lanciare corpi nella regione di Oort, mentre sono più efficienti nell’immissione di “cometesimali” in orbite iperboliche.
2. Un significativo numero di corpi (per una massa complessiva dell’ordine di alcune MTER) potrebbe essere stato immesso in questa fase nella regione dei pianeti interni.
Le comete così come le osserviamo sono pertanto una caratteristica di un sistema planetario già formato, chiaro indizio che già si sono verificati due fatti significativi, vale a dire la condensazione dei ghiacci all’interno della nebulosa e la presenza di corpi in grado di lanciare questi oggetti su vaste orbite intorno alla stella centrale.


L’ipotesi avanzata è che tali pianeti si siano formati nelle regioni più esterne delle nebulose di origine e siano poi stati dirottati in orbite più interne da meccanismi dinamici estremamente efficienti riconducibili alle interazioni tra più oggetti massicci. Un aspetto da non sottovalutare è che una evoluzione dinamica di questo tipo porterebbe con se quale inevitabile conseguenza uno “svuotamento” del sistema planetario in formazione con l’inibizione alla formazione di pianeti dotati di massa terrestre.

FASE 5
Formazione dei pianeti di tipo terrestre (Mercurio, Venere, Terra e Marte) in tempi di 107-108 anni.


E’ ragionevole ipotizzare, tra questi, la situazione “disagiata” di Mercurio

e Marte:

il primo risente della vicinanza del Sole ed il suo accrescimento si sviluppa in una zona molto povera di materiale; il secondo risente dell’azione di svuotamento esercitata da Giove nella zona della Fascia Principale degli asteroidi.

Tale azione di svuotamento era duplice: da un lato l’acquisizione e l’inglobamento di planetesimali qui sviluppatisi, dall’altro lato la loro espulsione dalla suddetta zona.

FASE 6
Formazione dei sistemi satellitari e dei sistemi di anelli attraverso meccanismi secondari di accrezione, cattura di planetesimali già formati ed episodi collisionali.
Talvolta, in una concezione quasi frattale del nostro Sistema Solare cara anche allo stesso Galileo,

si può essere indotti a considerare i sistemi satellitari come dei sistemi solari in miniatura, quasi una sorta di inevitabile conseguenza dei meccanismi evolutivi di un pianeta.
E’ certamente vero che la formazione dei satelliti può essere considerata quasi un sottoprodotto della genesi planetaria, ma è altrettanto vero ed evidente che le possibili varianti alla formazione satellitare sono davvero molteplici, paradossalmente una per ogni satellite.

Si colloca in questa fase anche la formazione della Luna riconducibile ad un impatto con un planetesimo di dimensioni paragonabili a quelle di Marte, evento databile 4.4 miliardi di anni fa.

Episodi analoghi hanno coinvolto anche altri pianeti: a seguito di un impatto Venere potrebbe aver invertito il senso di rotazione

e, sempre per un impatto violento, Mercurio potrebbe essere stato privato del mantello di silicati.   Le collisioni hanno inoltre caratterizzato e continuano a caratterizzare l’evoluzione dei corpi della fascia asteroidale.

A 108 anni dalla separazione iniziale della nebulosa, il Sistema Solare aveva completato il suo processo formativo ed iniziava per i corpi che si erano formati la lenta modificazione superficiale ad opera sia degli episodi impattivi anche estremamente violenti, sia di cause endogene.
Si innescava anche quel processo di formazione-distruzione delle atmosfere planetarie; quelle attuali, infatti, non sono le atmosfere originarie (almeno nei pianeti di tipo terrestre) ed è molto probabile che drastiche variazioni della composizione atmosferica siano stati episodi frequenti nell’evoluzione planetaria, proprio quali conseguenze di eventi impattivi giganti.   Il periodo di queste drastiche modificazioni atmosferiche va collocato circa 3.8 miliardi di anni fa, in coincidenza con il momento di maggiore bombardamento; in seguito le atmosfere dei pianeti terrestri sono state sufficientemente stabili e non hanno più risentito di massicci fenomeni di rimozione, ma hanno, ciascuna per conto suo, seguito percorsi evolutivi indipendenti risultando in tal modo uniche.   Per quanto riguarda la Terra, un aspetto correlato alla costruzione dell’attuale atmosfera è quello dell’identificazione dell’origine dell’acqua presente sulla superficie del nostro pianeta; e su questo aspetto le comete avrebbero potuto giocare un ruolo decisivo (Chyba, 1987 e 1990) in quanto sono formate da ghiaccio, rendendo così significativa la presenza dell’acqua, che una volta toccato il suolo terrestre, ha trovato l’ambiente ideale per orientarsi verso lo stato liquido; anche perché trovandosi la Terra nella cosiddetta Fascia di Sopravvivenza, tale da favorire lo stato liquido dell’acqua, come detto sopra e la presenza della vita stessa.

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